OGNI VOLTA CHE NE SALVIAMO UNO CHIUDIAMO UN MANICOMIO – di Vincenza Palmieri

Quando 40 anni fa con la Legge Basaglia furono chiusi i manicomi, si dette un grosso smacco alla psichiatria nazionale ed internazionale.

Senza entrare nel merito di quelle che sono state poi anche le derive stesse della Legge Basaglia, essa ha rappresentato con grossa evidenza un momento storico.

Non a caso la ricordiamo come una delle più importanti Leggi emanate nel nostro Paese e – consci di una portata che è andata ben oltre – come un fatto epocale in sé.

Rappresentò, infatti, una svolta non solo riguardo la chiusura stessa dei manicomi ma anche sul fronte della percezione e del sentire da parte del Governo e della Popolazione intera.

Da quel momento in poi, infatti, si assistette alla presa di coscienza di come la reclusione, la permanenza anche per tutta la vita all’interno di un manicomio e la stessa fatiscenza di quelle strutture rappresentassero uno dei crimini contro l’Umanità più efferati; tanto da essere spesso equiparati a campi lager, anche per la tipologia di percorsi terapeutici posti in atto.

Con la Legge Basaglia si modificò, dunque, la visione dell’Uomo e della Donna. Elevati dal rango di animali e bestie – com’erano stati concepiti da chi li aveva relegati in tali strutture – rappresentarono il simbolo evidente della stangata inferta al sistema psichiatrico e a tutto il sistema di potere ad esso connesso.

Ma ovviamente, quando parliamo di psichiatria, non ci riferiamo ad un’entità astratta né ad una forza minore facile da contrastare: stiamo relazionandoci con una Organizzazione mondiale fortissima, collegata ai signori della guerra e delle droghe. Tra guerra, droghe e psicofarmaci ci stiamo battendo contro una delle più grandi potenze mondiali, tra le quali il nesso strettissimo appare anche oggi più che evidente.

Una organizzazione così potente ha, quindi, trovato il modo di elaborare nuove strade e percorsi.

E da quel momento in poi, infatti, una serie di altre efferatezze sono state strategicamente progettate e opportunamente mascherate: la psichiatria, nel corso dei decenni, si è evoluta anche dal punto di vista del marketing. Ed ha trovato nuove forme per affermare se stessa.

Mentre, forte dell’ignoranza post bellica, abbiamo avuto per anni una psichiatria palese – elettroshock, docce fredde, ecc. – con l’evoluzione politica mondiale, l’emancipazione delle donne e gli esiti di grandi battaglie civili, la stessa psichiatria ha dovuto adattare le sue campagne e la sua strategia alla nuova realtà; per raggiungere un sempre più vasto bacino di utenza, nell’ambito di un panorama sociale mutato.

Cosa è avvenuto, dunque?

Di fatto, chiusi i manicomi, abbiamo aperto i nuovi manicomi.

I manicomi, oggi, si chiamano puntura depot, case famiglia, case ad alto contenimento, lager per anziani, SPDC dei reparti d’ospedale, piani terapeutici, abuso sessuale su pazienti detenuti, psicofarmaci ai detenuti o ai ragazzi in casa famiglia senza alcuna prescrizione, allontanamenti familiari ingiusti, diagnosi ingiustificate, Legge 170, i TSO agli adulti e ai bambini.

E, se per 40 anni abbiamo applaudito la chiusura dei manicomi, sono ormai 20 anni che osserviamo un fiorire costante della psichiatria attraverso mille rivoli, non ultimo quello della scuola e delle numerose diagnosi che, per affermare se stesse, hanno bisogno di essere addirittura sancite per legge.

Ogni volta che riportiamo a casa un bambino, noi stiamo chiudendo un manicomio. Ogni volta che togliamo ad un ragazzo una puntura depot, noi stiamo chiudendo un manicomio. Ogni volta che avviamo un processo di dismissione degli psicofarmaci, noi stiamo chiudendo un manicomio. Ogni volta che ne salviamo uno, noi stiamo chiudendo un manicomio: i nuovi manicomi.

E ogni volta che questo accade, noi dobbiamo alzarci in piedi e plaudire allo stesso modo in cui, a suo tempo, abbiamo gioito per la chiusura dei manicomi.

(Tratto dal contributo della Prof.ssa Vincenza Palmieri al Convegno “Bambini allo sbaraglio, Bambini bersaglio” – Pordenone, 27 gennaio 2018)

Dubbi di incostituzionalità sulla Legge sui Disturbi dell’Apprendimento? Quasi una certezza!

Prof.ssa Palmieri: la 170 è l’unica legge che “riconosce” una malattia.
Avv. Morcavallo: la sua incostituzionalità appare quasi una certezza.
Prof. Goffredo: si sa come risolvere le difficoltà di apprendimento.

Roma. Nel corso delle Giornate di Didattica Efficace® del 27 e 28 ottobre – organizzate dall’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare presso il Centro Congressi “Roma Eventi Fontana di Trevi” – si è discusso dei dubbi di incostituzionalità della Legge 170 che, di fatto, riconosce “per legge” i Disturbi dell’Apprendimento.

Tale posizione rappresenta da sempre una battaglia fondamentale portata avanti dalla Prof.ssa Vincenza Palmieri; pertanto, i punti più controversi di tale norma e delle linee guida che ne articolano l’attuazione sono stati accuratamente analizzati dal Comitato Scientifico dell’INPEF, di cui la Prof.ssa Palmieri è Fondatore e Presidente. Voci autorevoli in tal senso, l’Avv. Francesco Morcavallo, già Magistrato presso il Tribunale dei Minori di Bologna, e il Prof. Michele Goffredo, prestigioso Accademico lucano.

All’interno delle due giornate di lavoro pratico sulla Didattica Efficace® – che hanno concluso una intensa settimana sul tema, ricca non solo di incontri laboratoriali ma anche di importanti eventi istituzionali – sono state evidenziate le motivazioni basilari e i nodi di natura tecnica che rendono tali dubbi di incostituzionalità pressoché una certezza.

La Prof.ssa Palmieri ha introdotto il tema ricordando che già nel 2012 – nel convegno “Analisi Critica delle Nuove Norme in Materia di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA): una Nuova Ottica” tenuto presso la Sala Protomoteca del Campidoglio – aveva sollevato forti dubbi sulla Legge 170, dubbi che si sono poi concretizzati in un aumento esponenziale delle diagnosi, fino ad arrivare addirittura a 190.000 bambini diagnosticati.

La Legge 170, dunque, di fatto sancisce i margini di criticità dello spazio di manovra da parte degli insegnanti che non riescono a risolvere le difficoltà degli studenti, considerato che nella prassi viene del tutto disapplicata la cosiddetta “parte buona della Legge”, ovvero quella in cui si afferma che: “Per gli studenti che, nonostante adeguate attività di recupero didattico mirato, presentano persistenti difficoltà, la scuola trasmette apposita comunicazione alla famiglia.” Purtroppo queste adeguate attività di recupero didattico mirato non vengono quasi mai implementate: si passa direttamente alla comunicazione alla famiglia e alla conseguente diagnosi. Quando si etichetta un bambino con una malattia sancita per legge, dove persino la metodologia di intervento è definita dalla stessa norma, spesso si finisce con il compromettere il suo futuro. Soprattutto da questo punto critico fondamentale nascono i forti dubbi di costituzionalità della legge.

L’Avv. Morcavallo è intervenuto ribadendo quanto sia davvero singolare il fatto che in questa norma il legislatore si sia trasformato in un diagnosta e psicoterapeuta.

Incredibilmente, la Legge contiene persino errori di sintassi; ma il difetto maggiore è il riconoscimento dei DSA poiché tradizionalmente la parola riconoscere è usata per constatare una realtà esistente, mentre in questa legge si forza una realtà: “Se riconosco qualcosa che definisco io significa che sto creando quel fenomeno, e come diceva un noto giurista è più facile costruire un’irrealtà”.

Come già evidenziato, dunque, il primo aspetto di incostituzionalità è dato dal limite di discrezionalità del legislatore, cioè quello di non invadere altri settori né travalicare altri poteri: ma qui la legge si sostituisce al medico e al diagnosta.

Il secondo aspetto di incostituzionalità è il principio costituzionale di non frapporre ostacoli al pieno sviluppo della personalità: ma la Legge “marchia” il bambino fino all’università, istituendo in modo paradossale un diritto alla NON istruzione. La legge viola anche l’articolo 30 della Costituzione, perché non può esistere una norma che prescriva nel merito come istruire i figli, dato che è dovere e diritto dei genitori istruire ed educare i figli.

La conclusione  è, quindi, che i dubbi di incostituzionalità diventano quasi una certezza.

Secondo il Prof. Michele Goffredo, questa Legge sancisce il fatto che “non si conosce quasi nulla delle difficoltà di apprendimento” ed è una norma figlia di un’arretratezza abissale sulla cognizione di cosa sia l’apprendimento. Essa decreta di fatto l’incapacità dei professionisti della didattica e mette i bambini in un ghetto.

In realtà, esistono eccome dei sistemi per risolvere le difficoltà di apprendimento: si sa come fare, ci sono dei testi che lo spiegano. Bollare così un bambino significa sottoporlo a una menomazione ed è un alibi per la scuola. Questa Legge sancisce un ripiego. Il Prof. Goffredo ha concluso il suo intervento affermando che è necessario cancellare le premesse di questa legge.

«Chi trae profitto da questa norma?” – ha concluso la Prof.ssa Palmieri – “Forse i Centri che emettono le certificazioni? I professionisti che se ne occupano? Nel nostro Istituto incontriamo ogni giorno famiglie che vogliono liberarsi dalla diagnosi. Un giorno, un bambino seguito da noi è corso esultante dalla mamma dicendo: “Mamma, guarda, anch’io posso imparare!” Ecco, noi ci battiamo e continueremo a batterci contro la filiera diagnostica imposta da questa legge, affinché ogni bambino possa gioire con quelle stesse parole!».

Appello di solidarietà per il terremoto in Ecuador

Carissimi,

conoscete l’amicizia che lega l’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare alle Famiglie e ai Bambini dell’Ecuador, così come la collaborazione che il Gruppo di Lavoro Integrato per la Tutela dei Bambini Ecuadoriani in Italia ha intessuto con le Istituzioni ecuadoriane. E’ per questo che facciamo appello alla vostra solidarietà.

CS Ecuador per terremotoSabato 16 aprile 2016, alle ore 18.58, l’Ecuador ha subito un violento terremoto di magnitudo 7,8 della scala Richter, con epicentro nella zona di Esmeraldas, a 15 Km dalla città di Muisne. A fronte di questo disastro naturale, al momento, le informazioni ufficiali indicano che il bilancio delle vittime è di 271, con circa 2527 feriti e con zone completamente distrutte e devastate.

Pensiamo che sia veramente doveroso, da parte nostra, prestare aiuto ad un Paese che non solo è di una bellezza e cultura straordinarie, ma che ha scelto di diventare il simbolo di un importantissimo impegno Umanitario.

Attualmente, il Governo Ecuadoriano ha mobilitato tutte le proprie forze per cercare i dispersi, soccorrere i feriti e portare loro viveri e medicine.

Noi possiamo contribuire attraverso il conto corrente che vedete nelle immagini, a disposizione per le donazioni internazionali.

Vi ringraziamo di cuore, per quanto riuscirete a fare e per la tempestività di intervento, fondamentale in questo momento di emergenza.

Il Gruppo di Lavoro Inpef – Ecuador:
Vincenza Palmieri
Francesco Miraglia
Francesco Morcavallo
e tutto lo staff  Inpef

Ripensare il concetto di “Sostegno”: dall’Insegnante all’Educatore.

Intervista alla Prof.ssa Vincenza Palmieri

Fino ad oggi, il termine “sostegno” è stato associato alla figura dell’insegnante che si occupasse dei disabili – o diversamente abili, come più correttamente si è concordato di dire oggi. Ma c’è un nuovo punto di vista, non solo più corretto ma decisamente più completo, di cui apprendiamo colloquiando con la Prof.ssa Vincenza Palmieri, Presidente dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare.

 

Prof.ssa Palmieri, perché oggi non ci si può limitare più a parlare di “Insegnante di sostegno”?

Io credo che si debba fare un passaggio di consapevolezza ed iniziare a parlare di “Educatore” di sostegno. Perché i bambini portatori di una qualunque disabilità – seria, accertata e certificata come tale – non sono solo degli scolari o degli studenti: a scuola vanno 4-6 ore al giorno, ma hanno 24 ore di tempo nella loro giornata per poter giocare, incontrare, relazionarsi, crescere…  e così i loro genitori e familiari.

 

Qual è stato fino ad ora il ruolo dell’insegnante di sostegno?

Questa figura si è occupata per molti anni di sostenere l’insegnante di classe, più che i bambini. Spesso era pensata come “l’insegnante del corridoio”. Oggi noi puntiamo sul fatto che l’insegnante di sostegno sia, invece, altamente specializzato, con competenze superiori a quelle dell’insegnante di classe: insomma, tutt’altro che un insegnante “di serie B”, come di solito è stato ritenuto. Non si capisce come mai, infatti, anche nello stesso nucleo classe, questa figura – per quanto sia considerata di sostegno proprio alla classe e non solo al singolo bambino – sia stata spesso trattata alla stregua di un insegnante complementare.

 

Il dibattito è ancora in corso

Si, ma noi puntiamo, come dicevo, ad un superamento di questo concetto. Parlo, infatti di “educatore”, cioè un professionista formato su tutto ciò che possa essere utile alla relazione, all’aiuto, al supporto. Un sostegno che si esplichi anche nelle altre 18 ore del giorno e quindi non solo a favore dell’insegnante, ma dell’intera famiglia. Una figura che possa essere pensata anche per i giardini, i parchi, le colonie estive, i centri ludici, le comunità, i baby parking, le aree attrezzate dei grandi supermercati e così via. Perché una famiglia con un bambino diversamente abile non può andare in un Centro e lasciare il proprio bambino con un handicap libero di giocare nello stesso spazio degli e con gli altri bambini?

 

È  un concetto indiscutibilmente nuovo ma anche impegnativo

In realtà è un’idea molto semplice: quella di un educatore in grado di badare a TUTTI i bambini, anche nei contesti informali come le palestre (c’è un caso recente di un bambino che non è stato accettato perché disabile… ), nelle piscine, nei villaggi turistici… Se alcuni bambini hanno una difficoltà che non consente loro la piena autonomia, perché queste strutture non possono garantire un servizio completo proprio a chi è più bisognoso di integrazione? Perché non pensare ad una competenza del genere come competenza di base anche per istruttori ed animatori?

L’integrazione è un processo culturale a 360 gradi. Se noi la limitiamo soltanto a scuola, stiamo parlando di una percentuale minima della vita di un bambino.

 

Ci sono anche situazioni di difficoltà che richiedono competenze molto specifiche

Certo. Ma, per esempio, un bambino non udente ha bisogno soprattutto di mediazione linguistica. Perché non si garantisce anche questo tipo di servizio? Perché l’integrazione deve farsi solo a scuola? L’integrazione deve essere agita da tutta la società, non solo dal compagno di classe o di banco!

 

In sostanza, come intende lei l’integrazione?

L’integrazione non è un percorso che il diversamente abile deve fare verso “gli abili”, ma anzi dovrebbe essere basata sulla reciprocità, sull’andare uno – ognuno – verso l’altro, nelle due direzioni.

 

Voi, come Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare, cosa avete fatto per promuovere questo nuovo approccio culturale?

Noi, da tempo, abbiamo un progetto formativo completo per gli insegnanti ma anche per gli educatori di sostegno. Ed è un progetto ambizioso, non solo perché rovescia il punto di vista del sostegno, ma anche perché trova un impiego enorme in moltissimi – tutti! – gli ambiti della vita quotidiana. A partire dalla scuola pubblica, certo. Così come nelle scuole private, che molti genitori con figli disabili preferiscono, con l’idea che in queste strutture ci sia un maggior controllo rispetto, per esempio, al bullismo; ma si scontrano, poi, con strutture non in grado di accogliere i loro figli.

Dunque una formazione dalla duplice spendibilità, che consente sia di lavorare nel pubblico, così come prevede la riforma della scuola, sia di qualificarsi come figure professionali richiestissime anche nell’ambito della scuola privata.

 

E poi, come accennava, in ogni altro ambito

Esatto: ovunque si voglia e si debba consentire l’accoglienza di TUTTI i bambini.  Quindi nei consultori familiari, negli ospedali, nei villaggi turistici, nei supermercati, centri commerciali, aeroporti, comunità, giardini, centri comunali… ovunque.

Certamente in primis nei pre- e post- scuola, ma comunque a sostegno quotidiano per le famiglia: supporto specialistico il pomeriggio, nei giorni festivi, nei mesi estivi … eccetera.

Un modo nuovo di intendere non solo la figura di sostegno, dunque, ma l’integrazione in generale. Ed un modo per aiutare i giovani a trovare lavoro – con questa nuova, ricercata professionalità – così come per fornire stimoli innovativi a quanti già lavorano ed intendano migliorare la qualità della vita di chi ne ha bisogno.

 

Lei chiama “Diversi Talenti” i bambini  con difficoltà o veri e propri handicap

Proprio così. E ovunque ci sia un Talento, comunque esso si esprima, non deve ricevere un “Sostegno/Stampella”, ma uno skateboard, un motore stellare per elevarsi ad ogni possibile Altezza!

Intervista ad una Pedagogista Familiare

Abbiamo incontrato Sabrina Di Giacomo, Laureata in Filosofia, ora Pedagogista Familiare, recentemente diplomata presso l’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare. Quello che vogliamo comprendere, al di là del significato e dell’essenza di questa figura professionale, è l’impatto di crescita che tale approccio ha avuto per e sulla persona.

Come sei arrivata a conoscere la professione del Pedagogista Familiare ed in particolare l’INPEF?

Ho scoperto l’INPEF e la sua intensa attività di Formazione e Tutela dei Diritti Umani nel 2012, navigando sul web in cerca di un Master che mi convincesse, che sentissi nelle mie corde. La mia ricerca era iniziata già nel 2010, avevo valutato diversi percorsi formativi nella mia Regione, la Puglia, ma non mi avevano convinto, li ritenevo troppo teorici e poco pratici. Dopo aver conseguito una laurea in Filosofia ero in cerca di uno spunto pratico, per rendere fruibili i contenuti che mi avevano entusiasmato durante il percorso Universitario e che, molto spesso, non risultavano accessibili a tutti. Stavo già lavorando nel campo della formazione ma avevo voglia di ampliare le mie conoscenze. Quando ho letto le attività dell’INPEF mi sono sentita coinvolta e ho contattato l’Istituto, ho avuto un colloquio con la Prof.ssa Palmieri che mi ha chiarito ogni dubbio e così, a ottobre del 2012 sono partita per Roma per prendere parte alla prima lezione del Master in Pedagogia Familiare.

Che percorso hai fatto?

Il percorso che ho fatto all’INPEF si può definire un vero e proprio viaggio alla scoperta di me stessa. Quello che ho imparato in questi due anni mi ha permesso di rivedere, con nuovi occhi , anche il mio percorso scolastico e di comprendere alcune difficoltà che avevo anch’io e che, soprattutto al liceo, mi hanno creato un senso di inadeguatezza perché non riuscivo a conseguire i risultati sperati in greco e latino, nonostante il mio impegno e la mia passione per le materie. Grazie al Master in Pedagogia Familiare ho potuto utilizzare al meglio le mie competenze artistiche per esplorare nuovi modi per insegnare. Si può dire che ho fatto un percorso bidirezionale: da una parte, sono riuscita a compenetrare il disagio scolastico partendo dalla mia esperienza, e dall’altra mi sono spinta verso l’esterno acquisendo informazioni utili per lavorare con ragazzi/e di tutte le fasce d’età. All’INPEF si lavora anche su se stessi e questo è importante.

Quali sono i punti di forza dell’INPEF?

Sono diversi i punti di forza dell’INPEF, è un vero mix di Competenza, Esperienza e Passione.Tutti i docenti portano in aula la loro esperienza concreta e questo è un grandissimo punto di forza perché è proprio questa concretezza che manca all’uscita dell’Università; credo che la separazione tra vita Accademica e Lavoro sul campo sia ancora presente nella formazione Universitaria. L’INPEF, invece, è una realtà al passo coi tempi perché opera a stretto contatto con la società liquida in cui viviamo, è quindi “attrezzata alla navigazione”. Un altro punto di forza è l’accoglienza e lo scambio che viene favorito. Infatti ho avuto la possibilità di relazionarmi con colleghi e colleghe provenienti da tutta Italia con i quali siamo ancora in contatto per continui scambi di idee e per condividere progetti.

In cosa pensi di essere cresciuta?

Sicuramente sono cresciuta professionalmente perché ho acquisito competenze specifiche e spendibili ma credo di aver trovato anche una chiave di lettura che, a distanza di tempo, mi ha permesso di affrontare vecchi traumi “scolastici” che in alcuni momenti della mia vita hanno inciso moltissimo, rallentando il percorso universitario a causa della mania di perfezione indotta dall’Insicurezza. Ho ripensato ad alcune insegnati del liceo che ci sottoponevano a subdole umiliazioni, sicuramente in buona fede o perché anche loro vittime degli stessi metodi. Comprendendo sono riuscita a perdonare per essere diversa, abbracciando una scelta importante: quella di esplorare metodi creativi e accessibili per tutte le diverse intelligenze. L’apprendimento deve essere affascinante, deve indurre ad approfondire, deve divertire e rendere gioiosi. È questo ciò che voglio donare ai miei studenti e alle persone che si affideranno a me.

Cosa intendi fare di queste competenze acquisite, nel presente/futuro?

Ho già iniziato ad operare nel campo. Quest’anno, infatti, ho seguito due ragazzi ottenendo risultati davvero soddisfacenti Sono molto soddisfatta del lavoro che ho avviato e intendo organizzarlo sempre meglio, per diffondere nel mio territorio ciò che ho appreso in questi anni di formazione all’INPEF. Credo molto in questo progetto e condivido l’approccio dell’INPEF ai disturbi dell’Apprendimento, un approccio più pedagogico che diagnostico, che tiene conto dei differenti modi di accedere al sapere. Mi interessa tantissimo sviluppare la tematica del Diritto all’Apprendimento e sensibilizzare su questo aspetto, le Istituzioni locali. Per il momento opero attraverso la mia Associazione Culturale Contaminazioni che avevo fondato nel 2008, ci occupavamo della promozione dell’Arte in tutte le sue forme espressive ma nello Statuto avevamo anche inserito le attività di formazione e di promozione sociale. Inseguito sicuramente mi piacerebbe aprire una sede INPEF in Puglia, per le famiglie. Per il momento sto pensando anche di continuare a formarmi, ancora all’INPEF, attraverso il Master “SCUOLA NAZIONALE PERITALE, per CTP e CTU” per offrire un servizio sempre più efficace ed efficiente.

Ricordi una lezione particolarmente significativa per te?

Le lezioni più entusiasmanti e significative per me sono state quelle con la Prof.ssa Gravela che mi hanno permesso di scoprire un modo nuovo di fare scuola, ci siamo divertite a costruire gli strumenti didattici; in particolare la Lectio Magistralis “Comprensione, Comunicazione, Emozioni” con la Prof.ssa Palmieri è stata una lezione che ci ha permesso di esplorare la qualità delle relazioni che costruiamo. In un percorso di Pedagogia Familiare Comprendere le emozioni e riuscire a comunicarle è fondamentale. Il percorso nella sua interezza è stato un arricchimento incredibile. Sono molto soddisfatta della mia scelta e delle amicizie che sono nate in Itinere. Ho conosciuto persone straordinarie che mi hanno donato le loro storie. Non posso dimenticare una delle prime lezioni in cui ci siamo sottoposti al Genogramma con la Professoressa Izzo e abbiamo parlato delle nostre storie personali, delle nostre famiglie; tutto è avvenuto con naturalezza e spontaneità e nei momenti di commozione il gruppo si è mostrato solidale e compatto. In genere chi sceglie una professione di aiuto lo fa perché vuole comprendere meglio se stesso e l’altro ci offre uno specchio nel quale riconoscerci.

Sessione Estiva di Tesi per 58 Studenti Inpef

Durante la sessione estiva, 58 – degli oltre 400 studenti afferenti ai diversi Master – si sono specializzati presso l’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare.
Alcuni non erano alla prima esperienza di alta formazione presso l’INPEF, molti hanno manifestato l’intenzione di continuare a perfezionare la propria preparazione, per tutti è stato un momento emozionante di conclusione di un percorso ma anche, insieme, fortemente propositivo.
Di fronte ad una Commissione illustre, composta da professionisti esperti, è dunque avvenuta la discussione delle Tesi: elaborati di altissimo livello, sia dal punto di vista della portata concettuale sia per il valore di sintesi dell’esperienza pratica, maturata sul campo durante i mesi di formazione.
Non è un dettaglio citare la composizione della Commissione; non soltanto per rendere evidente l’opportunità formativa importantissima di cui hanno usufruito gli studenti INPEF, ma anche in considerazione del dibattito attuale sul “peso” del voto di Laurea/Specializzazione in funzione dell’Istituto/Università di provenienza.
Sedevano, dunque, in Commissione (in rigoroso ordine alfabetico),
oltre alla Presidente Vincenza Palmieri:
Thomas Buhling, Francesca De Rinaldis, Paola Gravela, Eleonora Grimaldi, Amelia Izzo, Francesco Miraglia, Francesco Morcavallo, Stefania Petrera, Ilaria Rossi.
Molte le testimonianze dei neo specializzati che hanno speso parole entusiastiche nel merito non solo dei contenuti del Master di appartenenza, ma in senso globale, nei confronti della Mission e dello “Stile INPEF”.
Una Giornalista siciliana, già al terzo Master presso l’Istituto, ha sottolineato l’enorme dedizione nei confronti della formazione, ma anche e soprattutto nelle battaglie umanitarie, caratterizzate da un approccio e da contenuti che non aveva mai, in precedenza, riscontrato altrove.
Interessante l’osservazione di alcune Educatrici di nidi d’infanzia, secondo le quali il Master seguito abbia prodotto un avanzamento importante nei termini delle loro capacità professionali, ma anche e soprattutto nella consapevolezza acquisita nei confronti dell’importanza del proprio lavoro, guardato da oggi con un occhio diverso.
Una laureata in Scienza Naturali ha sottolineato quanto sia stata una scoperta quasi rivoluzionaria l’avvicinarsi ad un bambino piccolo, 0-3 anni, con l’approccio della Psicologia, della Pedagogia e della Pedagogia Familiare: ha affermato di essersi sentita finalmente completata.
Una tesista che ha raccolto la propria esperienza pratica di tirocinio come cuore del proprio elaborato, ha evidenziato come nell’arco del tempo in cui ha svolto il proprio lavoro/studio in Casa Famiglia sia progressivamente modificato il clima in cui si è trovata ad operare.
Se all’inizio, infatti, era vista come un’estranea, alla fine, proprio grazie alle competenze acquisite, è diventata un vero e proprio punto di riferimento. Ora è in attesa di essere richiamata in quella stessa Casa Famiglia a prestare la propria attività lavorativa.
E non è la prima volta che si crea immediatamente una vera e propria opportunità. Ricordiamo il caso, per citarne solo alcuni dei moltissimi, di una diplomata INPEF assunta presso la Casa Famiglia di Capitano Ultimo, come quello di una mediatrice penale minorile assunta presso “Dianova”, a Palombara Sabina, così come una studentessa che dopo il Master sui DSA è stata chiamata da un Preside ad organizzare e condurre il post scuola dei ragazzi in difficoltà.
Una delle punte di diamante dell’attività di Alta Formazione INPEF, dunque, si può senza dubbio identificare nell’equilibrio perfetto tra conoscenza teorica ed esperienza pratica, che rappresenta il valore aggiunto di tutti i Master altamente professionalizzanti in cui tale proposta si articola con sorprendente vivacità e capacità di interpretare le richieste ed esigenze della Società come del Mercato del Lavoro

Vittime, Crimini e Conflitti

INTERVISTA ALLA PRESIDENTE INPEF – PROF.SSA VINCENZA PALMIERI – SUL MASTER IN CRIMINOLOGIA E SUL DIPARTIMENTO DI SCIENZE FORENSI

di Valeria Biotti

Se quello della Criminologia è un settore molto vivace e attivo di questi tempi, da molteplici punti di vista, potrebbe comunque stupire l’interesse sulla materia da parte dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare. 

Un interesse profondo e ampio, invece, dimostrato dall’attivazione non solo di un  Master specifico, ma di un vero e proprio Dipartimento di Scienze Forensi.
Per comprendere le motivazioni e le direttrici lungo le quali tale interesse si articoli, abbiamo intervistato la Presidente dell’INPEF, la Prof.ssa Vincenza Palmieri.

– Prof.ssa Palmieri, perché questo interesse da parte vostra nei confronti della Criminologia?

Innanzitutto perché, sia in Italia che oltre l’ambito nazionale, un gran numero – spesso la maggior parte – dei delitti si compiono tra le mura domestiche, nel contesto o a seguito di relazioni private o familiari.

Accade di frequente che i delitti più efferati rappresentino l’apice di un conflitto che non si è saputo gestire, a causa di un sostegno genitoriale che è mancato o addirittura in conseguenza di errori imputabili ad una mancanza di educazione o formazione delle figure di mediazione che, invece di aver correttamente gestito la conflittualità, la hanno acuita, inserendo elementi ulteriori di problematicità.Generale Garofano

– Quali sono le vittime di tali crimini e conflitti?

Le vittime più comuni sono i bambini, le donne, ma anche gli anziani. Questi ultimi, per esempio, trovano meno spazio sulle prime pagine dei giornali ma a ben pensare tutti noi conosciamo storie di maltrattamenti, reati, vessazioni di cui sono stati vittime. In casa o in strutture dove sono a tutti gli effetti torturati, addirittura soppressi: si pensi alle vicende degli “angeli della morte” in alcuni ospedali.

Sono i soggetti più fragili, comunque. Basti pensare ai bambini, attorno ai quali si muove il mondo, solo da poco emerso dal silenzio, della pedofilia, della pedopornografia.

– E’ una materia cruda e delicata
Esattamente. Spesso si assiste a scene del crimine di enorme cruenza, spesso ci muoviamo nell’ambito di sevizie e atti che non possono essere trattati soltanto da “tecnici” – quindi esperti balistici, dello studio del DNA, ecc… – ma devono essere oggetto di indagine anche da parte di figure in grado di ricercare il senso e le motivazioni nascoste dietro l’ovvio; professionalità capaci di ricercare la Verità attraverso l’analisi di atti documentali, muovendosi all’interno dei confini previsti dalla Legge, elaborando perizie complete e articolate.

– Voi all’INPEF, però, non avete disdegnato, nella ricerca dei docenti, anche i ruoli più tecnici

Farneti, De Rinaldis, PalmieriAssolutamente. Anzi, abbiamo voluto i migliori.
L’obiettivo è proprio quello di strutturare un percorso formativo che non si ascrivesse nel mero rango dei master professionalizzanti ma rappresentasse molto di più. Abbiamo, allora, professionisti che calibro del Generale Luciano Garofano, di​ Mar​i​na Baldi, Mart​ino Farneti, Francesco Miraglia, Francesca De Rinaldis, Stefania Petrera, Daniela Scarpetta, Donatella Ceré, Francesco Morcavallo,​ Eleonora Grimaldi, Beatrice Farneti, Paola Gnasso, Antonio Turco, Manola D’Amato, e molti altri prestigiosi professionisti del settore.​

E allora i nostri studenti si cimentano non soltanto nella costruzione di un profilo, nell’analisi comportamentale, ma hanno a che fare anche con un poligono di tiro, con i laboratori scientifici, con gli strumenti utili ai rilevamenti sulla scena del crimine, imparano a manovrare un quadricottero (il ‘drone’ – NdR) e a compiere le rilevazioni in zone impervie, si cimentano con la grafologia forense (ben 20 ore) e con la ricostruzione della scena in 3D. Potrei continuare, ma credo sia chiaro che la cosa a cui teniamo è che abbiano tutti i parametri necessari.

– I parametri per avere un’idea completa ed esaustiva della materia

Bisogna essere onesti: in questo campo è impossibile, arrivati ad un certo punto, non scegliere di specializzarsi, è pressoché automatico. Ognuno sceglie naturalmente l’ambito di analisi da approfondire. Può essere la balistica, come l’analisi comportamentale, il settore delle rilevazioni… Oppure, invece, magari lo studente vorrà approfondire ed ampliare una panoramica più generale, per una questione di curiosità e cultura personale.

Le competenze sono così tante che, quando i ragazzi finiscono le lezioni, ad ogni edizione capiamo che c’è sempre tanto da fare, insegnare, imparare, implementare: il campo della fragilità sociale e della ricerca della verità e giustizia richiedono una competenza, uno drone - qadricotterostudio e un apprendimento costanti.

– Si avverte una grossa passione nella Sua voce

In effetti siamo molto orgogliosi di questa esperienza che si è avviata anni fa e che poi è stata la base per attivare un vero Dipartimento di Studi Forensi. Ora, affianco al master in Criminologia, in continuo aggiornamento, c’è quello in Mediazione Penale Minorile, in Pedagogia Giuridica, Forense e Penitenziaria, in Psicologia Giuridica e Forense e molti altri. E’ un Dipartimento ampio, caratterizzato da una grande serietà da parte di chi se ne occupa.

– Possiamo dare qualche “indirizzo” e contatto per chi avesse avvertito nascere una curiosità in tal senso, leggendo questa nostra intervista?

Certo. Innanzitutto dell’INPEF – Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare

Via dei Papareschi, 11 – 00146 Roma (Angolo Piazzale della Radio) Tel. 06/5811057

E poi proprio sul Master: http://www.pedagogiafamiliare.it/file/master_criminologia.html